domenica 13 febbraio 2022
Marcinelle, Mattmark: quelle tragedie della nostra emigrazione poco note o molto oscurate
Osservando questa foto dove sono ritratte decine di nostri connazionali che, in procinto di emigrare, affollano un treno, mi domando se sono ancora in vita e possono riconoscersi. Mi auguro che siano ancora tra noi e possano testimoniare tutto quanto qui descrivo con affetto. "Sono pronto a rinunciare agli aiuti americani in cambio di far liberamente emigrare i disoccupati italiani, perchè le loro rimesse in denaro arriverebbero prima rispetto al Piano Marshall i cui benefici economici comporteranno tempi più lunghi"; questa la sintesi di quanto dichiarò De Gasperi nel suo intervento conclusivo al III Congresso nazionale della DC nel giugno 1949. E chi se lo ricorda più se non qualche saggista? Durante il mio periodo universitario, sebbene avessi scelto Scienze Politiche, non sentii mai trattare, da alcun docente, l'emigrazione italiana. Eppure, a cavallo del 1800/1900 se ne andarono quasi 15 milioni di nostri connazionali. Milioni d'altri, seppur distribuiti negli anni, lasciarono il nostro Paese verso destinazioni europee: Svizzera, Francia, Bretagna e Belgio dove, soprattutto per il protocollo bilaterale del 23 giugno 1946 "braccia per carbone" fissarono in 50.000 unità gli italiani diretti alle miniere della Vallonia. Si ipotizza siano stati quasi 70.000 perchè la fame di lavoro e di manodopera era condivisa. In miniera il sacrificio umano fu immane, si calcola in 520 i lavoratori italiani che vi perirono prima della tragedia dell'8 agosto 1956 a Marcinelle, sobborgo di Carleroi. Nella miniera Bois du Cazier persero la vita in 262 di cui 136 italiani. Qui, dove sono stato tre volte per un affettuoso tributo, si commemora ogni anno quella tragedia. Immane tragedia causata da un errore umano, una malintesa comunicazione tra due operatori. Non è stata invece di origine umana quella del 30 agosto 1965 a Mattmark, nel cantone svizzero del Vallese. Si stava costruendo una diga quando 2 milioni di mettri cubi di ghiaccio e detriti si rivesarono sul cantiere seppellendo baracche, automezzi, macchinari e 88 operai, 56 di questi erano italiani e 23 svizzeri. Al dolore per le vite umane, così dolorosamente stroncate, si aggiunse l'oltraggiosa beffa che le famiglie delle vittime dovettero pagare le spese legali perchè gli imputati andarono tutti assolti.
lunedì 7 febbraio 2022
Emigrazione italiana: le grandi tragedie sulle vie della speranza
Della nostra emigrazione, quella massiccia fra la grande crisi agraria del 1876 e la Prima guerra mondiale quando circa 14 milioni di italiani cercarono una vita migliore all'estero, si è narrato molto soprattutto per lo spopolamento delle nostre terre più povere e delle difficoltà di accesso, di ammissione negli Stati Uniti d’America e, purtroppo, anche di alcune pagine meno edificanti. Certo, ma tutto questo tralasciando aspetti che fecero meno cronaca: la generosa caparbietà delle nostre genti che hanno saputo inserirsi, farsi valere conquistando anche apprezzabili posizioni sociali nei Paesi che li avevano accolti. E poi il viaggio, la traversata oceanica. Momenti di pianto, il lasciare per sempre quelle terre che, seppur povere, erano comunque le radici della famiglia. A malincuore si partiva per intraprendere la strada verso una meta del tutto sconosciuta, ma che era stata descritta soprattutto nei sogni, nelle speranze. Non abbiamo che pochi cenni di cosa sono state talune tragedie durante le rotte oceaniche. Prime fra tutte le malattie che, contratte nelle precarie condizioni igieniche durante la traversata, fecero centinaia di vittime. Nel 1884, 20 morirono di colera sul Matteo Brazzo che, proprio per l'epidemia a bordo, era stato respinto a cannonate mentre tentava di attraccare a Montevideo; 34 per asfissia sul Cachar e 18 per fame sul Carlo Raggio. Nel 1889 in 27 trovarono la morte per afissia sul Frisia e 34 di morbillo sul Parà. Nel 1893 difterite e colera ne uccisero 96 sul Remo. Nel 1894 in 155 morirono sull'Andrea Doria e 20 sul Vincenzo Florio; nel 1905, 45 sul Città di Torino. Una pagina ancora più dolorosa per le sue proporzioni sono stati i naufragi di cui oggi, ed è sconcertante, non se ne parla, eppure l'oceano ha portato nei suoi abissi centinaia di vite e ...speranze. Il 24 agosto 1880, per un accidentale speronamento al largo della costa argentina, affondò il piroscafo Ortigia, 149 i morti.
18 marzo 1891: il piroscafo Utopia si inabissò per una collisione con la nave militare britannica HMS Anson nella baia di Gibilterra: perirono in 562, erano emigranti italiani diretti negli Stati Uniti d’America. Il 4 luglio 1898, al largo della Nuova Scozia, affonda il piroscafo Bourgogne: muoiono in 549, per lo più emigranti italiani.
4 agosto 1906: piroscafo Sirio, varato nel 1883, della Navigazione Generale Italiana, salpa da Genova il 2 agosto 1906 con destinazione finale Buenos Aires. Ha a bordo circa 850 passeggeri, buona parte dei quali emigranti italiani. Dopo alcuni scali nei porti di Barcellona e Cadice si dirige verso le Gran Canarie e Capoverde per poi puntare verso l’America del Sud. Passate le Baleari transita a tutta forza davanti a Cartagena, esattamente Capo Palos, dove va ad incagliarsi contro degli scogli; si presume che, tra annegati e dispersi, siano mancate all’appello circa 500 persone.
25 ottobre 1927: il Principessa Malfalda (nella foto) affondò davanti alle coste brasiliane. Era uscito nel 1908 dai cantieri di Riva Trigoso, sul Levante ligure. Stavolta era al suo ultimo viaggio perché sarebbe stato poi destinato alla demolizione e si narra che, proprio per questo, negli ultimi tempi c'era stata scarsa manutenzione. E le conseguenze si pagarono subito perché la nave dovette forzatamente fare scalo a Dakar (Senegal) per una riparazione all’asse dell’elica sinistra. Una successiva soata nell’isola di Capo Verde per riparare le celle frigorifero perchè le vivande si erano deteriorate. Quando si trovò a circa 80 miglia al largo delle coste brasiliane, tra Salvador de Bahia e Rio de Janeiro, si sfilò l’asse dell’elica sinistra che, continuando a girare, squarciò la chiglia a poppa causando una copiosa entrata d’acqua. Inutili le riparazioni di fortuna adottate, venne lanciato l’SOS che fece confluire subito i soccorsi dalla costa e da navi che transitavano nella zona. Ammirevole il comportamento dell’equipaggio e del suo comandante, il siciliano Simone Gulì che scomparve tra i flutti insieme alla sua nave. Gli venne conferita la medaglia d’oro alla memoria e intitolata una via a Palermo. Si calcola che perirono non meno di 600 passeggeri: una tragedia che ha indotto molti a definirlo il Titanic italiano. Cionostante milioni di Italiani hanno continuato, e continuano a partire verso prospettive di vita migliori accompagnati da tanta speranza e determinazione. Valori che, lo dimostrano i fatti, sono risorse per tutti i Paesi che li ospitano.
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