giovedì 21 dicembre 2017

Record per Geno AURIEMMA

L'incontro di Italia con Geno Auriemma a Vicenza (agosto 2017)
Luigi "Geno" Auriemma, l'avellinese che da ragazzino lasciò la Campania per andare con la famiglia negli USA, è in assoluto il miglior allenatore di basket femminile di quel Paese e certo al mondo: come allenatore della Nazionale ha vinto 2 titoli mondiali e 2 ori olimpici.
Legittimo quindi che lo scorso agosto gli sia stato conferito il Premio ASI Italiani nel mondo (l'unico riconoscimento da parte di enti di promozione sportiva agli Italiani residenti all'estero).
Ma non basta, il nostro eroe ha raggiunto ora un record straordinario: 1000 (mille) vittorie come allenatore di club. E' avvenuto martedi 19 quando la sua squadra, l'UCONN  Huskies dell'Università del Connecticut, ha superato per 88-64 l'Oklahoma Sooners, nel campionato NCAA.
Per Auerimma si è trattato della sua vittoria n° 1000 raggiunta peraltro in tempi record.
Mi congratulo quindi con questa eccellenza, questo straordinario testimone dell'Italianità all'estero.
Come scrissi in aprile: "Geno, we are proud of you!"
Geno Auriemma prepara uno schema di gioco (foto di Gianmaria Italia© proprietà riservata)



giovedì 7 dicembre 2017

L'Italianità di CLAUDIO BARBARO


Ho conosciuto davvero pochi dirigenti di istituzioni pubbliche, siano esse politiche o sportive, che mi hanno dimostrato di credere nell'Italianità, uno di questi è Claudio BARBARO.
Fra i suoi meriti spicca l'avere fondato il movimento Volontari del Tricolore che si spiega da sè. Ma Barbaro, laureato in Giurisprudenza e consigliere nazionale del Coni, ha al suo attivo anche l'essere presidente, oltre che cofondatore, di Alleanza Sportiva Italiana (in seguito Associazioni Sportive e Sociali Italiane).
In quest'ultima veste, e gliene sono ancora riconoscente, ha immediatamente raccolto e caldeggiato la mia proposta di premiare eccellenze italiane all'estero: un premio di cui si fregiano già sette nostri  lodevoli emigranti e la Fondazione Migrantes.
Lo intervistai nel febbraio di un anno fa, a Prato, e anche in quell'occasione ebbi conferma dei valori che esprime e coltiva.

In un momento in cui sembra che istituzioni e opinion maker abbiano lo sguardo rivolto solo in un'unica altra direzione, ritengo che Claudio Barbaro sia un riferimento per le attese degli Italiani che auspicano un esplicito sostegno al made in Italy comunque espresso.
Da queste pagine un cordiale ...ad maiora.

mercoledì 22 novembre 2017

HARTFORD RIAPERTO IL CONSOLATO

il Console F.Genuardi, Joe Mioli e l'Ambasciatore A.Verricchio
Hartford, la capitale del Connecticut, deve molto all’Italia e soprattutto alla Sicilia.
 In migliaia vi sono giunti dalle province di Messina (particolarmente dopo il terremoto del 1908) e di Siracusa e hanno costituito una florida ed apprezzata comunità; in particolare si sono distinti gli “americani” originari di Canicattini Bagni e di Floridia che hanno istituito gemellaggi e intitolato strade quale riconoscenza verso i loro concittadini che, con la loro opera in terra americana, hanno onorato le proprie  origini.
Ogni anno, in occasione del Columbus Day, presenziano sempre delegazioni provenienti dalla due cittadine siciliane.
Fra le figure di maggior spicco che si sono affermati ad Hartford l’imprenditore siracusano Gaetano Indomenico e il messinese Joseph S. Mioli che è stato anche deputato della Connecticut General Assembly.
E proprio il quasi ottantenne Joe Mioli non smette di stupire per la straordinaria vitalità e impegno nel tenere alte le radici italiane in terra americana; oggi mi ha mandato questa graditissima notizia:
“Caro Gianmaria, ieri abbiamo riaperto il Consolato Italiano nella citta' di Hartford, Capitale dello Stato del Connecticut, dopo un'assenza di decenni.
Nella foto alla mia destra c’è il Console Generale D'Italia in New York, Francesco Genuardi, alla mia sinistra  l'Ambasciatore d'Italia negli Stati Uniti, Armando Verricchio. Come vedi, benché' quasi ottantenne, sto ancora in piedi!!!”
Così averne di Italiani come Mioli che è atteso in Sicilia nella prima metà di dicembre per trascorrere alcuni giorni  a Santa Teresa di Riva, suo paese natale,  e Floridia.

Complimenti vivissimi caro Joe e un affettuoso saluto che estendo alla meravigliosa Comunità Italiana.

sabato 11 novembre 2017

SEMPRE PIU' LOMBARDI NEL MONDO

Si va verso il mezzo milione, per l’esattezza  449.503, il numero dei lombardi che risiedono all’estero; di questi, 22.981 hanno lasciato la regione nel 2016.
La provincia di Milano ne conta 129.042, quella di Bergamo 49.694 e quella di Brescia 41.933. La grande “terra brianzola” (Como, Lecco e Monza Brianza) vi concorre con 81.234 (di cui 4.805 solo lo scorso anno): segmento dei  4.973.942 di Italiani sparsi per il mondo.
Il 22,4% è rappresentato da giovani (tra i 18 e i 34 anni)  mentre il 25,2% sono persone di mezza età, vale a dire tra i 35 e i 49 anni, una fascia d’età che tocca il 27,6% per chi proviene dalle province d Milano e Monza Brianza.
Sono espressione di una cultura universitaria ed economica che si è fatta apprezzare nel mondo.
Infatti non sono in trasferta, in missioni d’affari o giovani dell’Erasmus, ma lombardi che hanno preso residenza all’estero per lavorare; lombardi che hanno messo in gioco il loro futuro contando sulle proprie forze, sulle proprie capacità in ambienti dove la raccomandazione è solo quella dei genitori verso la condotta dei figli.
Partono riempiendo la valigia di speranze e, giorno dopo giorno, esprimono le proprie capacità, i propri valori superando spesso l’agguerrita concorrenza di altri valenti lavoratori stranieri. Tutti vedono realizzati i loro sogni, gran parte di loro percorre carriere lodevoli dimostrando talento.
Sono risorse che quel motore economico dell’Italia ha perso e che aumentano di anno in anno. Valori che sono il frutto di valenti formazioni in Italia, ma che il nostro Paese non sa individuare ed esaltare.

Conforta tuttavia sapere che qualcuno di loro, ripensando a quando partì dall’Italia, ha affermato: “riempii la valigia di speranze, ora la vedo colma di certezze”.

martedì 17 ottobre 2017

Ormai 5 milioni gli Italiani residenti all'estero

Emigrante, una parola che, per uno strano quanto inconcepibile pudore, si stenta a pronunciare, eppure l’anno scorso 124.076 Italiani hanno riempito la loro valigia di speranze trasformandosi in emigranti.
Si raggiunge così il considerevole numero di 4.973.942 connazionali iscrittisi all’anagrafe dei residenti all’estero, un popolo che rappresenta l’8,2% della popolazione residente in Italia che, tra l'altro, è in leggera diminuzione rispetto al 2015 (60.589.445 contro 60.665.551). 
La Lombardia, con 22.981 unità (20.088), è la regione con il maggior numero di espatri nel 2016, la seguono il Veneto (11.611 -  10.374), la Sicilia (11.501 - 9.823), il Lazio (11.114 - 8.436), il Piemonte (9.022 - 8.199), l'Emilia Romagna (8.826 - 7.644) la Campania (8.074 - 6.827), la Toscana (6.502 - 5.504) e la Puglia (6.194 - 5.232) - in corsivo i dati del 2015.
Dove sono andati?
Le nazioni che hanno registrato i nostri maggiori arrivi state il Regno Unito (24.771), la Germania (19.178), la Svizzera (11.759) e la Francia (11.108). L'Argentina, pur avendo ricevuto meno Italiani rispetto all'anno precedente (4.425 contro 5.187) resta comunque la terra con il maggior numero di nostri emigrati (804.696) seguita dalla Germania (723.846) e dalla Svizzera (606.578).
E' quanto rilevato alla data 1 gennaio 2017 e reso pubblico oggi dalla Fondazione Migrantes presentando la XII edizione del suo Rapporto Italiani nel mondo (curatrice Delfina Licata a cui nove mesi fa venne conferito il Premio ASI Italiani nel mondo), un volume di oltre 500 pagine che non trascura un aspetto altamente preoccupante: 48.600 di questi 124.076 nostri emigranti sono di età compresa tra i 18 e i 34 anni: risorse che perdiamo. 
Alquanto debole la definizione di taluni: "I nostri giovani sono ormai cittadini del mondo"; no, sono emigranti che, come i loro nonni e bisnonni, stanno affidando ad altri Paesi quei sogni e prospettive che non offre il nostro, e con la qualità della loro opera ne contribuiscono alla crescita.
Con soddisfazione rilevo che anche importanti testate come Repubblica e La Stampa usano il termine più appropriato definendoli talenti in fuga, perchè all'estero c'è ormai spazio solo per talenti e noi ne abbiamo, ma il nostro mondo economico, comunque espresso, non rappresenta più il loro campo dove coltivare progetti per il futuro. Accanto ai giovani anche il 9,7% di nostri connazionali tra i 50 e i 64 anni che, senza occupazione, si rimettono in gioco affrontando il futuro fuori dall'Italia. 
Numeri che non debbono restare un semplice dato statistico ma fare riflettere, così come  quanto dichiarato da Don Giovanni De Robertis, direttore generale della Fondazione Migrantes: "Auspico un mondo solidale dove nessuno sia costretto a partire, ma ognuno possa scegliere dove costruire la propria vita".

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sabato 30 settembre 2017

30 settembre, Giornata contro la violenza sulle Donne


Leggo la notizia e sono contento che vi aderiscano anche le squadre di serie A di calcio femminile; dopotutto fui anche il primo giornalista italiano premiato dalla FIGC per avere seguito e promosso questa disciplina a livello nazionale.
Tuttavia, già allora e purtroppo anche oggi, riscontro che la solidarietà femminile spesso latita.
Mi spiego meglio.
Mentre tutti deprechiamo eventi delittuosi compiuti su donne, e le donne fanno sentire la loro voce in occasione di rivendicazioni, non trovo uguale solidarietà tra loro nel vivere quotidiano; il mondo del lavoro è teatro di episodi dove la mancanza di rispetto sconcerta. Se si può capire la concorrenza un po' meno invece lo sminuire, solo per  rivalità, il livello culturale e/o scolastico di colleghe: un comportamento che trovo deplorevole. 
Un’incongruenza che rivela l'intima debolezza di talune e che si traduce in un’offesa per il mondo femminile. 
Auspico quindi, da uomo, che questa Giornata sia sempre con l'iniziale maiuscola.

martedì 26 settembre 2017

Prima pagina per la nostra emigrazione

L'emigrazione giovanile italiana comincia ad andare in prima pagina su quotidiani nazionali; ecco il link del servizio dedicato dal Corriere

http://www.corriere.it/scuola/studiare-e-lavorare-all-estero/notizie/se-ne-vanno-giovani-laureati-nostra-vita-genitori-nell-italia-figli-lontani-3ab07376-9c5f-11e7-9e5e-7cf41a352984.shtml

giovedì 14 settembre 2017

"L'emigrazione giovanile ci costa 14 miliardi"

"La spesa familiare per la crescita e l'educazione di un figlio, dalla nascita ai 25 anni, può essere stimata attorno ai 165 mila euro: è come se l'Italia, con l'emigrazione dei suoi giovani, in questi anni avesse perso 42,8 miliardi di euro di investimenti in capitale umano". A questi sprechi va aggiunta la perdita associata alla spesa sostenuta dallo Stato per la formazione di quei giovani che hanno lasciato il paese: 5,6 miliardi se si considera la spesa media per studente dalla scuola primaria fino all'università. Nel solo 2015 ammonterebbe  a 14 miliardi, vale a dire un punto di Pil all'anno.
E' quanto si legge oggi su Repubblica e La Stampa che riporta i risultati svolti dal centro Studi di Confindustria diretto da Luca Paolazzi. Un investimento che avrebbe dovuto esprimersi in risorsa, ma che il nostro Paese, politico ed imprenditoriale, non ha saputo trattenere. Invece si traduce in abbassamento del potenziale di crescita che vanifica in parte il potenziale delle riforme strutturali faticosamente realizzate. 
Occorre rendersi conto che, lo si lelle nella relazione di Concofindustria, finisc eper tradursi in "gravi conseguenze permanenti sulla società e sull'economia dlel'Italia soto forma di depauperamento del capitale sociale e del capitale umano del paese".
Ben vengano e si applauda alla creazione di 814mila nuovi posti di lavoro, vale a dire +3,7% occupazione, +4,3% ore lavorate. Ma è lo sbocco delle nuove generazioni che sta mancando, vuoi per un errato, inadatto percorso di studi, vuoi anche perchè non si sono create le opportunità di ricambio generazionale (qui prodest andare in pensione a 67 anni?).
Ci si preoccupa delle mancate risorse al fondo pensioni, ma che dire degli ex dipendenti parlamentari che introitano 4 volte di quanto hanno versato? Tito Boeri lo sa? E se lo sa forse gli impediscono di metterci mani...
Torniamo ai giovani che lasciano l'Italia in cerca di lavoro: le risorse che perdiamo sono espresse da veri e propri talenti in fuga, risorse che, non apprezzate e colte in Italia, vanno ad arricchire altri Paesi.






venerdì 8 settembre 2017

MARCINELLE, per non dimenticare



L'entrata alla miniera del Bois du Cazier ©
La pesa all'ingresso della miniera ©
Certo non ne hanno conoscenza i nostri adolescenti e forse neppure i loro genitori, ma la tragedia mineraria di Marcinelle, nei pressi di Charleroi in Belgio, è scolpita nella memoria dei loro nonni: la mattina di mercoledì 8 agosto 1956 un incendio nella miniera di carbone tolse la vita a 262 operai di cui 136 italiani. Fu la punta di un iceberg, portava a conoscenza dei più le fatiche e i rischi del lavoro in miniera che in Belgio, tra il 1946 e il 1960, impiegò 230.000 italiani e, secondo i dati in possesso delle ACLI, i nostri connazionali morti in miniera furono 868.
La torretta del pozzo della tragedia è quello a destra ©
I rischi, anche solo di infortunio, erano frequenti; si scavava in condizioni alquanto difficili in cunicoli di 40-50 cm e i crolli dei puntellamenti in legno delle gallerie erano la prima preoccupazione. E c’era poi il pericolo del gas e di infiltrazioni d’acqua;  a Marcinelle scavavano in un pozzo profondo fino a 1035 metri!
Una condizione che rendeva alquanto problematico l’utilizzo di maschere, per cui ci si copriva naso e bocca col fazzoletto per ridurre l’inalazione di polvere, e così ecco la silicosi, detta anche “malattia del minatore”, e poi enfisema, bronchite, tubercolosi.
Nella miniera del Bois du Cazier, dove avvenne la catastrofe, erano impiegati 800 operai per una produzione che l’anno prima, il 1955, era stata di 170.000 tonnellate.
La mattina dell’8 agosto vi stavano lavorando in 275 e le vittime furono 262 di 12 diverse nazionalità, l’Italia pagò il prezzo più alto con 136 morti di cui 60 abruzzesi, e poi 22 pugliesi, 12 marchigiani,  7 friulani, 7 molisani,  5 emiliani, 5 siciliani, 5 veneti, 4 calabresi, 3 lombardi, 3 toscani, 2 campani, 1 trentino: un lutto nazionale!

L’edizione della notte del Corriere d’Informazione (8-9 agosto 1956) titolava: “300 MINATORI SEPOLTI (la maggior parte italiani) in una sciagura in Belgio. Gli uomini bloccati a oltre mille metri di profondità  mentre divampa un terrificante incendio. Gli ascensori non funzionano perché le fiamme hanno fuso i cavi d’acciaio – Solo 25 operai salvati finora attraverso un cunicolo – Disperato invio di soccorsi – Baldovino sul luogo della tragedia”
La causa? Quella scatenante fu un errore di manovra a 975 metri di profondità del pozzo 1: si fece azionare il montacarichi con un vagoncino non perfettamente agganciato. Durante la salita questo urtò una putrella che tranciò un cavo elettrico e un tubo dell’olio: una scintilla e le fiamme furono immediate e alimentate peraltro dall’aria compressa. Si cercò di intervenire immediatamente per portare in salvo i minatori; oltre alle squadre accorsero anche colleghi che erano nel turno di riposo. Le ricerche si protrassero fino al 23 agosto quando un italiano delle squadre di soccorso, risalendo, esclamò “Tutti cadaveri!” Si erano salvati solo in tredici.


Ma perché gli Italiani in miniera?
Fu il risultato dell’accordo italo-belga definibile in “braccia per carbone”; un protocollo firmato a Roma il 27 aprile 1947 con cui il nostro Paese si impegnava a fornire 50mila lavoratori per le miniere belghe, 2mila la settimana con un irrevocabile vincolo di lavoro di un anno, pena l’arresto (!). L’Italia avrebbe ricevuto, a prezzo preferenziale, 2500 tonn. di carbone ogni 1000 lavoratori impiegati.
La Federazione Carbonifera Belga, che aveva la sede di Milano in piazza S. Ambrogio 3,  si prodigò nell’affiggere manifesti in cui si promettevano salari elevati, carbone , viaggi gratuiti, assegni familiari, ferie pagate e pensionamento anticipato.
In realtà, oltre ad una certa diffidenza della popolazione locale, il primo sgradevole contatto fu con gli alloggiamenti: baracche, quando non hangar che avevano alloggiato prigionieri di guerra, niente luce e un bagno per ogni baracca o capannone e poi i ritmi di lavoro che erano estenuanti, ma la fame portava a rischiare. 
Tuttavia i primi segnali negativi di cosa significava lavorare in miniera si ebbero l’11 maggio 1950 a Trazegnies dove morirono 40 lavoratori, 3 le vittime italiane. Il 21 settembre dell’anno successivo nuova sciagura: a Quaregnon 7 morti, un belga e 6 italiani. Nel maggio 1952, in due incidenti presso il bacino di Charleroi, persero la vita 10 minatori tra cui 6 italiani.
In miniera c’erano dunque operai di ogni parte ed è ingiusto quanto ingeneroso affermare che quel lavoro fosse snobbato dai belgi perché quella mattina, al Bois du Cazier, ne perirono 95. Con loro polacchi, greci, tedeschi, ungheresi, algerini, francesi, un russo, un ucraino, un britannico ed un olandese.
La miniera, dopo alcuni interventi per migliorare le condizioni di lavoro, riprese  l’attività nel 1957 per cessare definitivamente nel 1967.

Emblematico vis à vis tra popolo e dignitari
Le riproduzioni di foto della gente il giorno della tragedia ©
Oggi, di quella struttura, sono rimasti gli edifici principali, le torri dei pozzi 1 e 2, e un capannone che era servito come alloggio dei minatori. Hanno creato un museo e un ristorante (!). Attorno il paesaggio, appena ondulato, presenta delle colline a cono, sono i terril, cumuli di detriti delle estrazioni minerarie. Ma è soprattutto il villaggio attorno, il Coron, che parla con le sue strutture e, come murales, riproduzioni di foto scattate all’indomani della tragedia: persone in formato naturale, volti in cui possiamo leggere attesa, angoscia e paura per il futuro.
Sono lì a testimoniare più di qualsiasi parola una grande tragedia, soprattutto italiana, che non va dimenticata.
Abitazioni nei pressi della miniera e, sullo sfondo, un terril
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