L'entrata alla miniera del Bois du Cazier © |
La pesa all'ingresso della miniera © |
La torretta del pozzo della tragedia è quello a destra © |
I rischi,
anche solo di infortunio, erano frequenti; si scavava in condizioni alquanto
difficili in cunicoli di 40-50 cm e i crolli dei puntellamenti in legno delle
gallerie erano la prima preoccupazione. E c’era poi il pericolo del gas e di
infiltrazioni d’acqua; a Marcinelle
scavavano in un pozzo profondo fino a 1035 metri!
Una
condizione che rendeva alquanto problematico l’utilizzo di maschere, per cui ci
si copriva naso e bocca col fazzoletto per ridurre l’inalazione di polvere, e
così ecco la silicosi, detta anche “malattia del minatore”, e poi enfisema,
bronchite, tubercolosi.
Nella
miniera del Bois du Cazier, dove avvenne la catastrofe, erano impiegati 800
operai per una produzione che l’anno prima, il 1955, era stata di 170.000
tonnellate.
La mattina
dell’8 agosto vi stavano lavorando in 275 e le vittime furono 262 di 12 diverse
nazionalità, l’Italia pagò il prezzo più alto con 136 morti di cui 60
abruzzesi, e poi 22 pugliesi, 12 marchigiani,
7 friulani, 7 molisani, 5
emiliani, 5 siciliani, 5 veneti, 4 calabresi, 3 lombardi, 3 toscani, 2 campani,
1 trentino: un lutto nazionale!
L’edizione
della notte del Corriere d’Informazione (8-9 agosto 1956) titolava: “300 MINATORI SEPOLTI (la maggior parte
italiani) in una sciagura in Belgio. Gli uomini bloccati a oltre mille metri di
profondità mentre divampa un
terrificante incendio. Gli ascensori non funzionano perché le fiamme hanno fuso
i cavi d’acciaio – Solo 25 operai salvati finora attraverso un cunicolo –
Disperato invio di soccorsi – Baldovino sul luogo della tragedia”
La causa?
Quella scatenante fu un errore di manovra a 975 metri di profondità del pozzo 1:
si fece azionare il montacarichi con un vagoncino non perfettamente agganciato.
Durante la salita questo urtò una putrella che tranciò un cavo elettrico e un
tubo dell’olio: una scintilla e le fiamme furono immediate e alimentate
peraltro dall’aria compressa. Si cercò di intervenire immediatamente per portare
in salvo i minatori; oltre alle squadre accorsero anche colleghi che erano nel
turno di riposo. Le ricerche si protrassero fino al 23 agosto quando un
italiano delle squadre di soccorso, risalendo, esclamò “Tutti cadaveri!” Si erano
salvati solo in tredici.
Fu il
risultato dell’accordo italo-belga definibile in “braccia per carbone”; un
protocollo firmato a Roma il 27 aprile 1947 con cui il nostro Paese si
impegnava a fornire 50mila lavoratori per le miniere belghe, 2mila la settimana
con un irrevocabile vincolo di lavoro di un anno, pena l’arresto (!). L’Italia
avrebbe ricevuto, a prezzo preferenziale, 2500 tonn. di carbone ogni 1000
lavoratori impiegati.
La
Federazione Carbonifera Belga, che aveva la sede di Milano in piazza S. Ambrogio 3,
si prodigò nell’affiggere manifesti in cui si promettevano salari
elevati, carbone , viaggi gratuiti, assegni familiari, ferie pagate e
pensionamento anticipato.
In realtà,
oltre ad una certa diffidenza della popolazione locale, il primo sgradevole
contatto fu con gli alloggiamenti: baracche, quando non hangar che avevano
alloggiato prigionieri di guerra, niente luce e un bagno per ogni baracca o
capannone e poi i ritmi di lavoro che erano
estenuanti, ma la fame portava a rischiare.
Tuttavia i primi segnali negativi di cosa significava lavorare in miniera si ebbero l’11 maggio 1950 a Trazegnies dove morirono 40 lavoratori, 3 le vittime italiane. Il 21 settembre dell’anno successivo nuova sciagura: a Quaregnon 7 morti, un belga e 6 italiani. Nel maggio 1952, in due incidenti presso il bacino di Charleroi, persero la vita 10 minatori tra cui 6 italiani.
Tuttavia i primi segnali negativi di cosa significava lavorare in miniera si ebbero l’11 maggio 1950 a Trazegnies dove morirono 40 lavoratori, 3 le vittime italiane. Il 21 settembre dell’anno successivo nuova sciagura: a Quaregnon 7 morti, un belga e 6 italiani. Nel maggio 1952, in due incidenti presso il bacino di Charleroi, persero la vita 10 minatori tra cui 6 italiani.
In miniera
c’erano dunque operai di ogni parte ed è ingiusto quanto ingeneroso affermare
che quel lavoro fosse snobbato dai belgi perché quella mattina, al Bois du
Cazier, ne perirono 95. Con loro polacchi, greci, tedeschi, ungheresi,
algerini, francesi, un russo, un ucraino, un britannico ed un olandese.
La miniera,
dopo alcuni interventi per migliorare le condizioni di lavoro, riprese
l’attività nel 1957 per cessare definitivamente nel 1967.
Emblematico vis à vis tra popolo e dignitari |
Oggi, di
quella struttura, sono rimasti gli edifici principali, le torri dei pozzi 1 e
2, e un capannone che era servito come alloggio dei minatori. Hanno creato un
museo e un ristorante (!). Attorno il paesaggio, appena ondulato, presenta
delle colline a cono, sono i terril,
cumuli di detriti delle estrazioni minerarie. Ma è soprattutto il villaggio
attorno, il Coron, che parla con le sue strutture e, come murales, riproduzioni di foto
scattate all’indomani della tragedia: persone in formato naturale, volti in cui
possiamo leggere attesa, angoscia e paura per il futuro.
Sono lì a
testimoniare più di qualsiasi parola una grande tragedia, soprattutto italiana,
che non va dimenticata.
Abitazioni nei pressi della miniera e, sullo sfondo, un terril |
Nessun commento:
Posta un commento