Egea HAFFNER è una dei 350.000 Italiani
che Tito e gli esiti della Seconda Guerra mondiale trasformarono in esuli, in
profughi dalle terre giuliane, istriane e dalmate.
Una pagina tristissima che parte
dai dolori per i soprusi, le violenze, gli eccidi patiti per mano dei titini e
poi l’arduo costruirsi una nuova vita in Italia affrontando diffidenze e
ostacoli da gente che doveva invece essere solidale, amica.
“Vivevamo a Pola e la sera del 1°
maggio 1945, verso le 8, due titini suonarono alla nostra porta di in via
Epulo; chiesero di mio padre Kurt. Come mai? Lo tranquillizzarono
dicendo che dovevano condurlo al Comando per avere delle informazioni, cosa di
poco conto, una pura formalità. Mio padre, rassicurato, uscì con il vestito che
aveva addosso e una sciarpa al collo. Da quella sera non si seppe più nulla di
lui.
Egea HAFFNER accanto al baule dell'esodo |
Non avevo ancora 4 anni; in
seguito i miei mi raccontarono che, qualche giorno dopo, videro la sciarpa del
mio povero padre attorno al collo di un titino”.
Comincia così la rievocazione che fa Egea Haffner di quell’episodio così tragico per la sua famiglia: “I miei cari non si diedero pace nel cercare sue notizie e, sperando che comunque potesse ritornare, mia nonna, ogni sera, gli teneva via un pezzo di pane”.
Comincia così la rievocazione che fa Egea Haffner di quell’episodio così tragico per la sua famiglia: “I miei cari non si diedero pace nel cercare sue notizie e, sperando che comunque potesse ritornare, mia nonna, ogni sera, gli teneva via un pezzo di pane”.
Egea venne a sapere che quella
delle visite informali, “tranquillizzanti”, erano una consuetudine da parte
dell’OZNA, la famigerata polizia politica slava, e toccò decine di famiglie di
quella zona istriana. Si diffuse la notizia che centinaia di Italiani, accusati
superficialmente di essere “fascisti” quando magari erano semplici funzionari
pubblici o nostri militari, erano già stati passati per le armi, soprattutto
gettati nelle foibe. Persone che, senza alcun processo e senza alcun valido
motivo e comunque senza colpe, dopo essere stati malmenati, seviziati ,
venivano legati con filo di ferro dietro la schiena ad altri sventurati e
gettati in quelle voragini dove, dopo un’atroce agonia, vedevano
spegnere la loro vita. Si suppone che il papà di Egea sia stato
gettato nella foiba di Pisino.
La piccola EGEA in partenza da Pola |
Ma chi è Egea Haffner, un nome
sconosciuto ai più? E’ la bimba di cinque anni dai capelli a
boccoli, ritratta con una borsa da viaggio, un ombrello ed un cartello
“Esule giuliana 30001” scritto da suo zio Alfonso: il numero dei polesani più 1,
lei, che stavano lasciando la città
istriana, ricca di vestigia romane, per andare in Italia. Un doloroso esodo
forzato che, al termine della Seconda Guerra Mondiale, rischiava di
trasformarsi in una diaspora.
“Era il luglio del 1946 - mi
racconta ora nella sua bella casa di Rovereto dove dal 1972 vive con suo
marito, l’Ingegner Giovanni Tomazzoni,
una persona davvero gradevole e di profonda cultura – la destinazione sarebbe
stata Cagliari dove viveva una sorella di mia madre. Fummo accolti con grande
affetto e io giocavo con i miei cuginetti mentre mia madre lavorava come
parrucchiera. Si rimase lì per otto mesi, poi ci trasferimmo a Bolzano dove,
nel frattempo, si erano sistemati mia nonna e i miei zii paterni. Erano
partiti, come profughi, da Pola
imbarcandosi il 10 febbraio 1947 sulla nave Toscana.
la Signora EGEA con il marito, Ing Giovanni TOMAZZONI |
Dato che parlavamo sia italiano che tedesco la scelta di Bolzano fu dettata dalla opportunità di mettere a frutto il bilinguismo. Vi arrivammo in aprile, con tanti ricordi e un enorme baule che conservo tuttora, sistemandoci in un alloggio alquanto disagevole e lì iniziò la mia vita da esule. Bolzano fu molto importante per la mia vita perché nel 1962 conobbi Giovanni, il mio futuro marito che sposai nel 1966”.
Malgrado le vicende dell’esodo
avessero interessato circa 350.000 italiani delle terre giuliane, istriane e
dalmate, per il resto del Paese non ci fu grande risonanza, anzi, in alcune
località erano malvisti, osteggiati perché accusati di togliere posti di lavoro
ai locali, ma ignari di quale dramma li aveva condotti lì, lontani dalla loro
terra, privati della loro casa, dei loro beni.
Trasferitasi con la famiglia a
Rovereto ha cresciuto con il marito Giovanni, le figlie
Ilse e Roberta e coltivando un hobby significativo: la pittura, opere alquanto apprezzate.
Egea HAFFNER accanto ad alcuni suoi quadri |
Qui, nel
1997, grazie alla sensibilità del Museo Storico della Guerra, venne organizzata
la mostra Istria: i volti dell’esodo. Per la sua realizzazione, che
ebbe grande successo e dove intervenne, fra gli altri, anche Fulvio Tomizza,
furono raccolti cimeli e foto di quelle tragiche giornate; a simboleggiare
l’evento quella foto di una bimba dai capelli a boccoli, l’Esule giuliana
30001.
Il 29
aprile 2006 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, su proposta di
Silvio Berlusconi, conferì a Kurt Haffner, attraverso la figlia Egea, la
"medaglia commemorativa del Sacrificio offerto alla Patria".
La dedica sulla medaglia a KURT HAFFNER |
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Consiglio la lettura di un libro di Raoul Pupo "Il lungo esodo" - ediz. BUR
(cliccare sulle foto per ingrandirle)
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