venerdì 31 gennaio 2020

"Quelli che se ne vanno"

Dedico il titolo di questa mia riflessione ad un libro, più esattamente un saggio, scritto da Enrico Pugliese per le edizioni Il Mulino.
Un lavoro che ha il merito di toccare un argomento ancora di nicchia rispetto alla cronaca quotidiana e ne do quindi atto all'autore; raccoglie tuttavia anche dati statistici e informazioni superficiali, tipici di quei resoconti che affollano le scrivanie degli studi di ricerca e la cui fonte sono alquanto curioso di conoscere. 
Il Prof. Enrico Pugliese è un apprezzato sociologo, un cattedratico di fama, ma, come tale, ha probabilmente "vissuto" la nostra Emigrazione più nei discorsi, nelle relazioni che nella realtà. 
Non si spiegherebbero infatti un controsenso ed un giudizio un poco fuori dal tempo che emergono dall'intervista che rilasciò a Varesenews, autorevole testata web, nel marzo 2019 dopo aver presentato il suo libro nell'Istituto scolastico varesino Anna Frank e visibile qui
Controsenso: dato che si parla di "cervelli in fuga" (di cui disserterò più avanti) è riduttivo affermare che solo il 30% è in possesso di una laurea o un dottorato. Il restante 70% è costituito da persone con media o bassa scolarizzazione". L'affermazione è quantomeno opinabile perché chi possiede un diploma di maturità ha raggiunto un livello di istruzione superiore, se poi, come capita sovente, si aggiungono anche anni di università non conclusosi con la laurea...  
Basta chiedere ai cacciatori di teste che li selezionano.
Nella loro valigia, oltre a tante speranze, ripongono come minimo un diploma, una specializzazione o una laurea sovente arricchita da un master; altri anche anni d'esperienza professionale.
E' poi inaccettabile, perché fuori dalla realtà, quando aggiunge: "Non è certo una fuga di cervelli ma di braccia".
Forse fino a dieci, quindici anni fa. 
Ben più attendibile quanto si legge su "Storia economica delle migrazioni italiane" scritto dalla Prof.ssa Francesca Fauri. Secondo questa docente di Storia presso l'Università di Bologna i nostri emigranti in possesso di laurea sono il 31% con punte del 34-35% per chi è espatriato in USA e Regno Unito.
Giudizio: probabilmente Pugliese non è mai andato all'aeroporto a vedere partire i nostri giovani. Ben diversa, credo di immaginare, l'esperienza di Francesca Fauri che ha due figli che lavorano all'estero.
Anche io ho una figlia, vive da 9 anni in Lussemburgo e sovente, accompagnandola all'aeroporto, ho visto genitori di nostri giovani in partenza; dopo averli salutati riprendevano con aria mesta la strada di casa, magari mettendo mano al fazzoletto per asciugare una lacrima.
No, i nostri emigranti, soprattutto i giovani, non vanno in vacanza; certo nei primi mesi vivranno l'emozione di un'esperienza nuova, ma dopo si renderanno conto di essere  stranieri in un paese straniero e, grave, ormai "stranieri" anche per la loro Patria.
Pensiamo ora a quali turbamenti avranno per la Brexit i 700mila connazionali che vivono in Gran Bretagna.
Per finire, come promesso, ecco la mia opinione sul termine "fuga di cervelli": altro non è che la letterale traduzione di brain drain che si trova sovente nei comunicati ufficiali ..."EU cannot stem the brain drain of ..." e se ne fa quell'uso superficiale che tutti leggiamo ed ascoltiamo.
Non si tratta di cervelli in fuga, ma di talenti, perché se non sei un talento non ti convocano per una selezione e, soprattutto, poi non resisti alla concorrenza di altri lavoratori e non costruisci così la tua carriera.
"Quelli che se ne vanno" resta comunque un'opera interessante, utile documento  per conoscere un campo della vita sociale italiana trascurato dai più. Per apprendere ancora meglio questa realtà storica ed economica prediligo tuttavia la citata opera di Francesca Fauri, davvero pregevole e anch'essa edita da Il Mulino, dove abbondano interessanti approfondimenti e utili grafici.



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